Lino Scarallo e Palazzo Petrucci: dal cuore della Napoli esoterica alla vista mozzafiato di Posillipo
Lino Scarallo nasce nel 1973 a Napoli, in quel quartiere complesso e verace che è la Sanità. Inizia la lunga gavetta dalla macelleria del padre, dove impara a conoscere i differenti tagli di carne e le varie tecniche di macellazione. Contemporaneamente porta avanti gli studi all’Istituto Alberghiero, dove apprende le basi della cucina dal maestro Enrico Cosentino (l’uomo a cui si deve l’invenzione degli scialatielli).
A 15 anni Lino passa l’estate in Sardegna per la prima esperienza lavorativa stagionale e lì si accorgono subito delle sue caratteristiche da leader, tanto che lo promuovono responsabile della cucina. Parte in seguito per la Svizzera, a ancora in Belgio e in Austria, al fine di ampliare la sua visione della gastronomia. A 22 anni decide di fermarsi e diventa lo chef della Maschera ad Avellino, che, grazie al suo apporto, nei dieci anni successivi diventerà uno dei punti di riferimento della cucina Irpina.
Nel 2006 incontra l’imprenditore Edoardo Trotta, che lo inserisce in un progetto ambizioso nel centro di Napoli: convertire l’antico palazzo nobiliare appartenuto alla famiglia Petrucci in un ristorante gourmet di alto livello. Scarallo sposa la causa in maniera entusiasta e nel giro di un anno arriva anche la stella Michelin a sottolineare lo sforzo compiuto.
Nel 2016 la svolta, lasciare la sede di piazza San Domenico per trasferirsi in una nuova location in riva al mare, a breve distanza dallo storico Palazzo Donn’Anna. La sfida è ardua, ma in pochi mesi il ristorante diventa un caso di enorme successo, con fatturati raddoppiati e lista d’attesa sempre più lunga.
Anche la cucina si rinnova di pari passo; la degustazione si apre con una delicata tartare di manzo impreziosita dal crudo di scampi e rinfrescata da un gelato alle cipolle di Tropea, che aggiunge dolcezza e contrasto termico a un piatto già perfettamente equilibrato. I fagiolini danno un tocco di colore e un appoggio di consistenza.
Da applausi la lasagnetta di mozzarella di bufala campana con crudo di gamberi e salsa di fiori di zucca, il signature dish per eccellenza dello chef; un piatto che ammalia fin dal primo assaggio per la morbidezza suadente e la coesione degli elementi.
Si prosegue con le triglie in carpione con riduzione alla soia, cuscus di cavolo bianco, papaccelle e olive nere; piatto dalla grande sapidità che non mortifica la freschezza del pesce. Particolarmente adatto dopo la lasagnetta, in virtù della sua natura profondamente diversa che lo posiziona su toni più “spinti”.
Il fiore di zucca cristallizzato con cremoso di ricotta, acciughe, provola, pomodoro e basilico è un passaggio dal gusto più lieve, per resettare il palato dopo un doppio colpo da KO come gli antipasti precedenti. Una rivisitazione efficace del classico “ciurillo” fritto della tradizione partenopea, reso qui più elegante e meno grassoso.
Tra le zuppe, molto amate dallo chef, sugli scudi la passata di cipollotto fresco con infusione di pecorino e mentuccia, dove l’uovo poché esprime tutto il suo potenziale cullato da una cornice incisiva e strutturata.
Gli gnocchi di patate con verza cappuccia, ostriche e lime arrivano servite su un curioso piatto ad arco e bilanciano lo stupore estetico con la giusta consistenza e una riuscita sintesi dei sapori.
Lo spaghettone con zucchine, sgombro affumicato, tuorlo marinato, menta e arancia colpisce per la spiccata voluttuosità, sottolineata da una cremosità notevole e un gusto morbido e avvolgente.
Il secondo di pesce è una parmigiana di astice, dove il crostaceo viene appena scottato per esaltarne la carnosità succulenta, mentre le melanzana indorata e fritta ripiena di mozzarella arricchisce il piatto con un moderato tocco di opulenza.
Il cosciotto di coniglio dimostra una grande cura dei dettagli, con una rete di zucchine alla scapece a fare da base e un ripieno classicheggiante di pinoli, uva passa ed erbette fresche. Indovinato e divertente il topping a pois.
Chiude la degustazione un altro piatto icona dello chef, la stratificazione di pastiera napoletana, dove l’emblematico dessert partenopeo viene scomposto in una nuova struttura senza perdere un briciolo del gusto originale.
Nota di merito al maȋtre Sergio Martinelli (in passato al ristorante Radici di Riviera di Chiaia) che cura la cantina con grande professionalità, valorizzando anche il lavoro dei sommelier precedenti.
Un successo, quello del ristorante Palazzo Petrucci, destinato a durare a lungo, non solo per il meraviglioso ambiente in cui è racchiuso, ma soprattutto per il talento dello chef Lino Scarallo, che rinnova la tradizione partenopea con garbo e creatività, divertendosi a comporre piatti lodevolmente coesi fra mare e terra.
Ristorante Palazzo Petrucci
Via Posillipo 16/c – 80123 Napoli (NA)
Tel. +39 081 5757538
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